Vivisettori?

“L’uomo è la vera bestia!” “Indignamoci per la vivisezione!” “Go veg!”. Questi sono solo alcuni degli slogan che troviamo in internet quando leggiamo qualcosa contro la vivisezione. Sempre più frequentemente vediamo manifestazioni, petizioni, stand in varie piazze italiane che chiedono di renderla illegale …e noi siamo d’accordo! Fortunatamente, questa pratica lo è da un bel pezzo. Per ignoranza o malafede, “animalisti” e attivisti vari confondono il termine “vivisezione” con “sperimentazione animale”, ma sono due pratiche completamente differenti.

Abbandonate pure le immagini di scimmiette martirizzate, con elettrodi attaccati in giro e musetti doloranti, o di dolci cagnolini sventrati davanti ad un pubblico adorante in camice bianco, ovviamente imbrattato del loro sangue innocente. La sperimentazione animale non è nulla di tutto questo: è un pratica necessaria che non porta mai, e sottolineo il mai, dolore gratuito all’animale;  anzi il suo fine ultimo è il miglioramento della vita, tanto umana quanto animale (dubito che i veterinari abbiano imparato tutto ciò che sanno leggendo solo dei libri).

mus musculus

Dobbiamo ricordarci che dietro ad occhialoni e guanti c’è sempre una persona, e questo dovrebbe almeno farci pensare che un minimo di empatia la possa provare. Non credo che in molti si compiacciano davanti ad un animale mutilato, anzi. Ovviamente esistono i sadici, ma dubito che tutti i ricercatori lo siano, no? Tuttavia, se un simile lavoro non avesse regole, potremmo (e dovremmo!) temere le più atroci e indicibili sofferenze; proprio per questo, a livello sia nazionale che europeo, sono in vigore leggi molto restrittive per chiunque voglia fare esperimenti sugli animali. E tali leggi sono sempre più restrittive man mano che gli animali coinvolti somigliano all’uomo (o quantomeno provano dolore, come seppie e polpi).

Per le Drosophile Melanogaster, meglio note come moscerini della frutta, o il Caenorhabditis elegans, un vermetto, non ci sono particolari restrizioni, ma se vogliamo lavorare su una scimmia antropomorfa (bonobo e gorilla, per esempio) beh, possiamo anche scordarcelo. La legge limita l’utilizzo di tali animali solo ed esclusivamente nel caso in cui si tenti di preservare la specie (quindi per il loro stesso bene) o compaia un’infezione pericolosa per gli esseri umani.

In ogni caso tutti i laboratori devono richiedere permessi, che possono arrivare anche dopo mesi, prima di poter toccare un animale. Poi se sono sottoposti ad interventi invasivi gli animali vengono regolarmente sedati, mentre per prelievi del sangue o simili l’anestesia non è richiesta (il dolore derivante dalla puntura per l’anestesia equivale a quello della puntura per prelevare il sangue). E se per caso l’anestesia influisse sull’effetto che si vuole studiare, prima di poter eseguire l’esperimento senza sedare l’animale il ricercatore deve chiedere il permesso ad un comitato etico, presente in ogni laboratorio, e portare prove molto convincenti che quanto venga fatto sia strettamente necessario.

Ecco dove sta la differenza tra la (nobile) sperimentazione animale e la (ignobile) vivisezione: la vivisezione porta ad esperimenti invasivi su animali non anestetizzati e provoca quindi un dolore che molte volte può, e deve, essere evitato. Non per nulla è bandita dall’Unione Europea. Nessun laboratorio italiano o europeo, privato o pubblico, può anche solo pensare di fare impunemente vivisezione.

 

Ora guardiamo uno dei più famosi luoghi comuni sull’utilità della sperimentazione animale: gli animali sono troppo diversi da noi, questo significa che non possiamo usarli come modelli per le nostre malattie.

A parte il fatto che chiunque abbia il coraggio di affermare una cosa simile dimostra una totale ignoranza delle basi dell’anatomia e della genetica, tutta la comunità scientifica concorda sul fatto che passare per i test sugli animali, prima di eseguire quelli sugli umani, sia necessario. Voglio fare solo un esempio a favore della mia tesi: il Mus musculus, meglio noto come topo. Esso è la cavia per eccellenza, e uno dei molti motivi di tale scelta, all’apparenza bizzarra, è che quasi ogni gene umano ha una controparte all’interno del genoma murino, e spesso modificare un gene umano e la controparte del topo porta alla stessa modificazione.

Adesso colleghiamoci ad un altro luogo comune: ci sono tecniche ottime che non utilizzano animali, ma che, per motivi economici, non vengono utilizzate e migliorate.

Questa è una grande, enorme, falsità, e vorrei mostrare come queste tecniche non siano ancora sufficienti e come, quindi, sia necessario l’utilizzo di animali ad un certo punto della sperimentazione.

Una volta scoperta una molecola che sembra interessante, bisogna studiarla approfonditamente. Oltre a tutti i test chimico-fisici necessari per capire come la molecola funzioni e reagisca a diversi ambienti (per esempio variazioni di pH e temperatura), bisogna vedere come interagisce con i sistemi biologici. A questo livello, dove si sa poco della molecola, non avrebbe senso utilizzare gli animali. Una molecola promettente potrebbe essere molto pericolosa: uccidere tutti gli animali a questo stadio sarebbe inutile, crudele e comporterebbe un enorme spreco di denaro (gli animali da laboratorio sono costosi… ma ne riparliamo a breve). Quindi si prendono cellule animali, disponibili di diverso tipo a seconda del test che si vuole fare, e si aggiunge la molecola da studiare. Se tutte le cellule muoiono si cerca di capire perché, in caso si prova a modificare la molecola, ma se l’effetto non cambia ci si ferma. Giunti a questo punto, si potrebbe pensare che, se le cellule sopravvivono, allora la molecola non è pericolosa. Sbagliato! Questo è solo il primo passo. Infatti ciò che non uccide le cellule potrebbe uccidere un organo, o danneggiare organi diversi. Proviamo a pensare: viene ingerita una molecola del tutto innocua, entra nel circolo sanguigno e il fegato la modifica. Magari il fegato è immune alla nuova molecola (e quindi test sulle cellule del fegato mi dicono che essa è innocua), ma una volta lasciato il fegato questa potrebbe arrivare al cervello e inibirne alcuni recettori. Come posso sapere se questo può avvenire oppure no?

Certo, è possibile fare test, modelli al computer e altro, ma alla fine dobbiamo sempre arrivare ad una prova in vivo. Serve infatti un organismo perché la molecola studiata verrà utilizzata su di un organismo. E passare subito agli uomini non sarebbe molto etico.

Una volta che gli animali dimostrano che la molecola non è pericolosa o, quantomeno, che i benefici sono superiori ai costi, si passa agli esseri umani. E anche in questo caso la sperimentazione può portare a nulla, perché i ricercatori sono consci del fatto che, per quanto un topo (o qualsiasi altra cavia) possa essere simile ad un essere umano, quelle piccole differenze possono portare dalla completa efficacia (sulla cavia) alla completa inefficacia (sull’uomo).

Se si leggono alcuni articoli di giornale, e ancor di più andando in siti internet contro la vivisezione (che, ricordiamo, non esiste in Europa), sembra che la ricerca scientifica sia una cosa fatta abbastanza a caso: voglio testare qualcosa, prendo l’animaletto puccioso e lo torturo per saziare la mia voglia di conoscenza. In realtà il processo è lungo e complicato, e per arrivare al livello di sperimentazione animale ci vogliono molti mesi da quando è stata trovata la molecola adatta.

Infine, per tranquillizzare tutti coloro che amano gli animali (che, per la cronaca, amiamo anche noi eh), gli enti di ricerca sono tenuti ad utilizzare metodi alternativi quando possibile, a ridurre il numero di animali per ogni esperimento e a migliorarne le condizioni di vita.

Le accuse di maltrattamento non hanno fondamento, non solo perché i ricercatori non sono aguzzini, ma anche perché un animale che sta male non è adatto alla ricerca scientifica: gli effetti evidenziati potrebbero derivare dal maltrattamento e non da ciò che si cerca di studiare. È quindi nell’interesse della ricerca fare in modo che l’animale stia bene.

E riguardo i metodi alternativi? Anche se adesso non sono sufficienti, essi sono visti di buon occhio dalla comunità scientifica perché renderebbero il processo di sperimentazione meno costoso e più veloce. Infatti gli animali devono essere monitorati continuamente, nutriti correttamente, vivere in un ambiente controllato (dall’umidità alla pulizia) e richiedono permessi. Come potete immaginare, tutto questo comporta costi enormi.

È quindi naturale concludere che utilizzare il minimo numero di animali e trattarli con cura è un vantaggio per tutti: gli animali vengono trattati con attenzione e le coscienze stanno meglio (e le tasche rimangono piene).

Manifestazione

Solitamente non pubblichiamo più di un articolo a settimana (perché ci teniamo siano scritti meglio possibile e perché abbiamo anche una vita sociale, più o meno), ma in questo caso abbiamo fatto un’eccezione. Il 5 febbraio infatti (cioè domani) ci sarà una manifestazione, davanti all’Università La Sapienza di Roma, dei cosiddetti antivivisezionisti; visto che la vivisezione in Europa è illegale il nome fa un po’ ridere. Comunque tutto questo si basa  su un pessimo servizio di Striscia la Notizia, che potete trovare qui (https://protestitalia.wordpress.com/2014/12/19/ignoranza-abissale-o-malafede-colossale-ai-posteri-lardua-sentenza-prima-parte/) smontato parola per parola. Noi vorremmo portare l’attenzione, invece, sulla manifestazione in favore del professor Caminiti o, per meglio dire, in favore della sperimentazione animale, promossa da Il Gruppo del Fago-Sapienza (https://www.facebook.com/pages/Il-Gruppo-del-Fago-Sapienza/625115670927783). Perché stare dalla parte della sperimentazione scientifica significa difendere il nostro futuro e il nostro benessere. Qui trovate il link della manifestazione https://www.facebook.com/events/861455393916955/

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